LE FORME DI PRODUZIONE SUCCESSIVE

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NELLA TEORIA MARXISTA . 1960 - 1980
arteideologia raccolta supplementi
made n.21 Dicembre 2023
LA RIPRESA DELLE OSTILITÀ
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FORMA QUINARIA: IL COMUNISMO . CAP. 6 .1

CRITICA DEL PROGRAMMA DI GOTHA [1]

Stadi del comunismo inferiore e superiore

1. "Il lavoro è la fonte di ogni ricchezza e di ogni civiltà e poiché il lavoro utile è possibile solo nella e mediante la società, il frutto del lavoro appartiene integralmente, a ugual diritto, a tutti i membri della società".

Prima parte del paragrafo:
"Il lavoro è la fonte di ogni ricchezza e di ogni civiltà".

Il lavoro non è la fonte di ogni ricchezza. La natura è la fonte dei valori d'uso (e in questi consiste la ricchezza materiale!) altrettanto quanto il lavoro, che d'altronde è soltanto l'espressione di una forza naturale, la forza lavoro umana. La frase in questione si trova in tutti i sillabari, e in tanto è corretta, in quanto si intende che il lavoro si esplica con i mezzi e con gli oggetti che si convengono. Ma un programma socialista non può permettere a tale fraseologia borghese di passare sotto silenzio le condizioni che solo possono dar loro un senso. E il lavoro dell'uomo diventa fonte di valori d'uso, e quindi anche di ricchezza, in quanto l'uomo fin dal principio si comporta come proprietario nei confronti della natura, fonte primaria di tutti i mezzi e materiali di lavoro, e la tratta come cosa che gli appartiene [2].
I borghesi hanno buoni motivi per attribuire al lavoro questa potenza creatrice soprannaturale; perché proprio quando il lavoro è sottomesso alle esigenze della natura, l'uomo, spogliato di ogni altra proprietà all'infuori della sua forza lavoro, sarà necessariamente, in tutte le società e civiltà, lo schiavo di altri uomini che si sono resi proprietari delle condizioni oggettive del lavoro. Egli può lavorare – e quindi vivere – solo col loro permesso.
Ora, se prendiamo la frase così com'è, o piuttosto come zoppica, se ne dovrebbe logicamente attendere la seguente conclusione:
"Poiché il lavoro è la fonte di ogni ricchezza, nessuno nella società si può appropriare una ricchezza che non sia un prodotto del lavoro. Se dunque non lavora egli stesso, vuol dire che vive del lavoro altrui e che si appropria anche la sua cultura a spese del lavoro altrui".
Invece di questo, col copulativo "e poiché" si aggiunge alla prima una seconda fase, e si trae da questa e non dall'altra la conclusione.

Seconda parte del paragrafo:
"Il lavoro utile è possibile solo nella e mediante la società".

Secondo la prima frase il lavoro era la fonte di ogni ricchezza e di ogni civiltà, ossia che non c'è società senza lavoro. Ora veniamo a sapere, al contrario, che nessun lavoro "utile" è possibile senza società.
Si sarebbe potuto dire a egual ragione che solo nella società il lavoro inutile, e addirittura socialmente dannoso, può diventare una branca d'industria, che solo nella società si può vivere di ozio; in una parola, si sarebbe potuto copiare tutto Rousseau.
Ma che cosa è un lavoro "utile"? Non può essere che quel lavoro che produce l'effetto utile voluto. Un selvaggio – e l'uomo è un selvaggio appena ha cessato di essere una scimmia – che abbatte un animale con una pietra, che raccoglie frutti, ecc, compie un lavoro "utile".         '
In terzo luogo e in conclusione:
"E poiché il lavoro utile è possibile solo nella e mediante la società, il frutto del lavoro appartiene integralmente, a ugual diritto, a tutti i membri della società".

Bella conclusione! Se il lavoro utile è possibile solo nella e mediante la società, il frutto del lavoro appartiene alla società, e al singolo lavoratore ne tocca solo quel tanto che non è indispensabile al mantenimento della società, "condizione" stessa del lavoro.
Infatti questa proposizione è stata di volta in volta sostenuta dai difensori dell'ordine sociale stabilito. Dapprima vengono le pretese del governo e delle sue appendici, perché il governo è l'organo della società per il mantenimento dell'ordine sociale; indi vengono le pretese delle diverse specie di proprietà privata, che sono le basi della società, e così via. Si vede che simili frasi vuote si possono girare e rigirare come si vuole [3].
La prima e la seconda parte del paragrafo hanno un legame logico a condizione di dire:
"Il lavoro diventa fonte della ricchezza e della civiltà solo se è un lavoro sociale" o, ciò che è lo stesso, "nella e mediante la società".
Questa proposizione è indiscutibilmente corretta, perché se anche il lavoro isolato (supponendo realizzate le sue condizioni materiali) può creare valori d'uso, esso non può creare né ricchezza né civiltà.
Ma ugualmente inoppugnabile è quest'altra proposizione:
"A misura che il lavoro si sviluppa socialmente e diviene così fonte di ricchezza e civiltà, si sviluppano povertà e desolazione dal lato dei lavoratori, ricchezza e civiltà dal lato dei non-lavoratori".
Questa è la legge di tutta la storia sino ad oggi. Anziché scrivere dei luoghi comuni su il "lavoro" e su la "società", sarebbe stato meglio mostrare con precisione come nella moderna società capitalistica sono finalmente date le condizioni materiali ecc. che mettono gli operai in grado di spezzare quella maledizione sociale e li obbligano a farlo.
Ma in realtà l'intero paragrafo, sbagliato nella forma e nel contenuto, è stato inserito soltanto per poter iscrivere come parola d'ordine in cima alla bandiera del Partito la formula di Lassalle sul "prodotto integrale del lavoro". Tornerò in seguito sul "prodotto del lavoro", sull'"uguale diritto", ecc., poiché la stessa cosa ritorna in forma un po' diversa [4].

 2. "Nella società attuale, i mezzi di lavoro sono monopolio della classe dei capitalisti. La dipendenza della classe operaia che ne consegue è la causa della miseria e dell'asservimento in tutte le forme".

Questa tesi, presa dagli statuti dell'Internazionale è, in questa forma "migliorata", falsa.
Nella società attuale i mezzi di lavoro sono monopolio dei proprietari fondiari (il monopolio della proprietà fondiaria è anzi base del monopolio del capitale) e dei capitalisti. Gli statuti dell'Internazionale non menzionano nella frase in questione né l'una né l'altra classe dei monopolizzatori. Essi parlano del "monopolio dei mezzi di lavoro, cioè delle fonti dell'esistenza". L'aggiunta "fonti dell'esistenza" mostra chiaramente che la terra è inclusa nei mezzi di lavoro.
La rettifica fu introdotta perché Lassalle, per ragioni ora universalmente note, attaccava solo la classe dei capitalisti, non i proprietari fondiari. In Inghilterra il capitalista, il più delle volte, non è neppure proprietario del terreno su cui sorge la sua fabbrica.

3. "L'emancipazione del lavoro richiede che gli strumenti di lavoro siano elevati a proprietà comune della società e che tutto il lavoro sia regolamentato mediante cooperative con equa ripartizione dei frutti del lavoro".

"Elevare gli strumenti di lavoro a proprietà comune" vorrà dire "trasformare in proprietà comune"? — passiamo oltre.
Che cosa si intende per "frutto del lavoro"? Il prodotto del lavoro o il suo valore? E, nell'ultima ipotesi, il valore totale del prodotto o solo quella parte di valore che il lavoro ha aggiunto al valore dei mezzi di produzione consumati?
Il "frutto del lavoro" è una nozione vaga, che in Lassalle sostituisce concetti economici ben determinati.
Che cosa è una "equa ripartizione"?
Non pretendono i borghesi che l'odierna ripartizione sia "equa"? E non è essa in realtà l'unica ripartizione "equa" sulla base del presente modo di produzione? Sono i rapporti economici regolati dai concetti giuridici oppure non derivano, al contrario, i rapporti giuridici da quelli economici? Non hanno forse i socialisti settari le più diverse concezioni dell'"equa" ripartizio­ne?
Per sapere che cosa si deve intendere in questo caso sotto l'espressione "equa ripartizione", dobbiamo paragonare a questo il primo paragrafo. Nel paragrafo 3 si preconizza una società in cui "gli strumenti di lavoro sono proprietà comune e tutto il lavoro è regolamentato mediante cooperative", mentre nel primo paragrafo ci si dà ad intendere che "il frutto del lavoro appartiene integralmente, a ugual diritto, a tutti i membri della società".
"A tutti i membri della società"?   Anche a quelli che non lavorano? Che diviene allora il "frutto integrale del lavoro"?  – Solo ai membri della società che lavorano?   Che diviene allora "l'ugual diritto" di tutti i membri della società?
Ma "tutti i membri della società" e "l'ugual diritto" sono evidentemente solo modi di dire, il cui nocciolo sta nel fatto che in questa società comunista ogni operaio deve ricevere il "frutto integrale del suo lavoro" alla Lassalle.
Se prendiamo, in primo luogo, le parole "frutto del lavoro" nel senso di "prodotto del lavoro", il frutto del lavoro cooperativo è allora tutto il prodotto della società.
Ma da questo si deve detrarre:
Primo: un fondo destinato a reintegrare i mezzi di produzione consumati.
Secondo: una parte supplementare per l'estensione della produzione.
Terzo: un fondo di riserva o di assicurazione contro infortuni, danni causati da fenomeni naturali, ecc.
Queste detrazioni dal "frutto integrale del lavoro" sono una necessità economica, e la loro entità si determina in funzione dei mezzi e delle forze esistenti, in parte con un calcolo di probabilità, ma in alcun modo in base all'equità [5].
Rimane l'altra parte del prodotto complessivo, quella destinata al consumo.
Prima di procedere alla sua ripartizione individuale, anche qui bisogna detrarre: Primo: le spese generali d'amministrazione che sono indipendenti dalla produzione.
Questa parte è sin dall'inizio considerevolmente ridotta in confronto alla società attuale, e diminuirà a misura che la nuova società si verrà sviluppando [6].
Secondo: il fondo destinato alla soddisfazione collettiva dei bisogni, come scuole, igiene pubblica, ecc.
Questa parte aumenta sin dall'inizio notevolmente rispetto alla società attuale, e aumenterà a misura che la nuova società si verrà sviluppando [7].
Terzo: un fondo per gli inabili al lavoro, ecc, in breve per ciò che oggi si chiama, nel linguaggio ufficiale, l'assistenza pubblica [8].
Soltanto ora arriviamo a quella "ripartizione", che è la sola che, in maniera assai limitata, viene presa in considerazione in questo programma di ispirazione lassalliana, cioè a quella parte dei mezzi di consumo ripartita tra i produttori individuali della società cooperativa.
Insensibilmente, il "prodotto integrale del lavoro" si è trasformato in "prodotto parziale", benché la parte che viene sottratta al produttore nella sua qualità di individuo privato gli torni a vantaggio, direttamente o indirettamente, nella sua qualità di membro della società.
Come abbiamo visto volatilizzarsi la formula del "frutto integrale del lavoro", scompare ora la formula del "frutto del lavoro" in generale.
All'interno della società cooperativa, fondata sulla proprietà collettiva dei mezzi di produzione, i produttori non scambiano i loro prodotti; tanto meno il lavoro incorporato in questi prodotti appare qui come valore di questi prodotti stessi, come una proprietà oggettiva da essi posseduta, poiché ora, contrariamente a quanto avveniva nella società capitalistica, i lavori individua­li non esistono più come parti costitutive del lavoro sociale attraverso un processo indiretto, ma in modo diretto. L'espressione "frutto del lavoro", che anche  oggi  è da respingere a causa della sua ambiguità, perde così ogni senso [9].
Quella che consideriamo è la società comunista non come si è sviluppata sulla propria base, ma viceversa, come emerge dalla società capitalistica; una società che porta quindi ancora sotto ogni rapporto, economico, morale, intellettuale le stigmate della vecchia società dal cui grembo essa è uscita. Perciò il produttore singolo riceve – dopo le detrazioni – esattamente ciò che ha dato. Ciò che egli ha dato è il suo quantum individuale di lavoro. Per esempio: la giornata di lavoro sociale consta della somma delle ore di lavoro individuale; il tempo di lavoro individuale di ciascun produttore è la parte della giornata di lavoro sociale fornita da lui, la sua partecipazione a tale giornata. Egli riceve dalla società uno scontrino da cui risulta che egli ha prestato tanto lavoro (dopo la detrazione del suo lavoro per i fondi collettivi), e con questo scontrino egli ritira dalle riserve sociali tanti mezzi di consumo quanto costa il lavoro corrispondente.[10]
Lo stesso quantum di lavoro che egli ha dato alla società in una forma, lo riceve in un'altra.
Domina qui evidentemente lo stesso principio che regola lo scambio delle merci in quanto è scambio di equivalenti. Contenuto e forma sono però mutati, perché, nelle nuove condizioni, nessuno può dare niente all'infuori del suo lavoro, e perché d'altra parte niente può passare in proprietà del singolo all'infuori dei mezzi di consumo personali.[11] 
Ma per ciò che riguarda la ripartizione di questi ultimi tra i singoli produttori, domina lo stesso principio che nello scambio di equivalenti di merci: si scambia una quantità di lavoro in una forma contro una uguale quantità in un'altra forma.
L'uguale diritto è qui perciò, secondo il principio, sempre il diritto borghese, benché principio e pratica non si azzuffino più, giacché lo scambio tra equivalenti, nel sistema mercantile, esiste solo nella media, non in ciascun caso singolo.[12]
Nonostante questo progresso, questo ugual diritto reca ancor sempre un limite borghese. Il diritto dei produttori è proporzionale al lavoro da essi fornito; l'uguaglianza consiste nel fatto che il lavoro serve da misura uguale per tutti.[13]
Ma un individuo è fisicamente o intellettualmente superiore all'altro, e fornisce quindi nello stesso tempo più lavoro, oppure può lavorare per un tempo più lungo. Il lavoro, per servire come misura, dev'essere determinato secondo la durata o l'intensità, altrimenti cesserebbe di essere misura. Questo diritto uguale è un diritto disuguale per un lavoro disuguale. Esso non riconosce alcuna distinzione di classe, perché ognuno è soltanto un lavoratore come tutti gli altri, ma riconosce tacitamente come privilegio naturale l'ineguale talento individuale, e quindi l'ineguale capacità di rendimento. Esso è perciò, nel suo contenuto, un diritto della disuguaglianza, come ogni diritto. Il diritto può consistere soltanto, per sua natura, nell'applicazione di una uguale misura; ma gli individui disuguali (e non sarebbero individui diversi se non fossero disuguali) sono misurabili con una comune misura solo in quanto li si consideri da uno stesso punto di vista, sotto un angolo unico e determinato: per esempio, nel caso dato, esclusivamente come lavoratori e nient'altro, prescindendo da ogni altra cosa. Inoltre: un operaio è ammoglia­to, l'altro no; uno ha più figli dell'altro, ecc. ecc. Supposti uguali il lavoro e quindi la partecipazione al fondo di consumo sociale, l'uno riceve dunque più dell'altro, l'uno è più ricco dell'altro e così via. Per evitare tutti questi inconvenienti, il diritto, invece di essere uguale, dovrebbe essere disuguale.
Ma questi inconvenienti sono inevitabili nella prima fase della società comunista, quale emerge, dopo i lunghi e dolorosi travagli del parto, dalla società capitalistica. Il diritto non può essere mai più elevato della formazione economica della società e dello sviluppo culturale che ne discende.
In una fase superiore della società comunista, dopo che sarà scomparsa la subordinazione asservitrice degli individui alla divisione del lavoro, e, con essa, anche l'opposizione fra lavoro intellettuale e fisico [14], dopo che il lavoro sarà divenuto non solo mezzo di vita, ma anche il primo bisogno della vita; dopo che con lo sviluppo onnilaterale degli individui saranno cresciute anche le forze produttive e tutte le sorgenti della ricchezza collettiva scorreranno in tutta la loro pienezza, solo allora l'angusto orizzonte del diritto borghese potrà essere definitivamente superato, e la società potrà scrivere sulle sue bandiere: Da ciascuno secondo le sue capacità; a ciascuno secondo i suoi bisogni! [15]
Mi sono ampiamente dilungato sul "frutto integrale del lavoro" da una parte e dall'altra parte sull'"ugual diritto" e sull"equa ripartizione", per mostrare quanto è criminale l'azione di quelli che, da un lato, vogliono nuovamente imporre come dogmi al nostro Partito concezioni che in una certa epoca avevano un senso, ma oggi sono diventati rigatteria di formule antiquate; e, dall'altro lato, quanto la concezione realistica, così faticosamente inculcata al Partito ma oggi  ben radicata in esso, viene snaturata con fandonie ideologiche di carattere giuridico e simili, così familiari ai democratici e socialisti francesi.
Prescindendo da quanto si è detto sin qui, è soprattutto sbagliato fare della cosiddetta distribuzione l'essenziale e porre principalmente l'accento su di essa.
La ripartizione dei mezzi di consumo è ogni volta soltanto conseguenza della distribuzione dei mezzi di produzione. Ma è quest'ultima che caratterizza il modo stesso di produzione. Il modo di produzione capitalistico, per esempio, poggia sul fatto che le condizioni materiali della produzione sono nelle mani dei non-lavoratori sotto forma di proprietà capitalistica e proprietà fondiaria, mentre la massa non possiede che le condizioni personali di produzione: la forza lavoro. Ripartiti in tal modo gli elementi della produzione, ne deriva da sé l'odierna distribuzione dei mezzi di consumo. Se le condizioni materiali di produzione sono proprietà collettiva dei lavoratori stessi, ne deriva ugualmente una distribuzione dei mezzi di consumo diversa dall'attuale. Il socialismo volgare ha preso dagli economisti borghesi (e, a sua volta, una parte della democrazia l'ha ripresa dal socialismo volgare) l'abitudine di considerare e trattare la distribuzione indipendentemente dal modo di produzione, e perciò di rappresentare il socialismo essenzialmente come una questione di distribuzione. Dal momento che il rapporto reale è stato da molto tempo evidenziato, perché ritornare indietro?

 4. "L'emancipazione del lavoro dev'essere l'opera della classe del lavoratori, di fronte alla quale tutte le altre classi costituiscono soltanto una MASSA REAZIONARIA".

La prima strofe è presa dal Preambolo degli statuti dell'Internazionale, ma in forma "migliorata". Ivi si legge: "L'emancipazione della classe operaia, dev'essere opera dei lavoratori stessi", mentre qui è "la classe dei lavoratori" che deve emancipare ... che cosa? "Il lavoro". Capisca chi può.
In compenso, l'antistrofe è una citazione lassalliana della più bell'acqua: "di fronte alla quale (alla classe dei lavoratori) tutte le altre classi costituiscono soltanto una massa reazionaria" [16].
No! Manifesto comunista si dice:
"Di tutte le classi, che oggi si oppongono alla borghesia, solo il proletariato è una classe veramente rivoluzionaria. Le altre classi decadono e periscono con la grande industria, mentre il proletariato ne è il prodotto più genuino".
La borghesia è concepita qui come classe rivoluzionaria – come veicolo della grande industria – rispetto ai feudali e ai ceti medi, risoluti a difendere tutte le loro posizioni sociali che sono il prodotto di un modo di produzione antiquato.
Queste ultime classi non costituiscono dunque con la borghesia una sola e medesima massa reazionaria.[17]
D'altra parte il proletariato è rivoluzionario rispetto alla borghesia, perché, cresciuto egli stesso sul terreno della grande industria, tende a spogliare la produzione del suo carattere capitalistico, che la borghesia cerca di perpetuare. Ma il Manifesto aggiunge che "le classi medie ... diventano rivoluzionarie nel momento preciso in cui cadono nel proletariato".
Anche da questo punto di vista è dunque un assurdo affermare che i ceti medi "formano una massa reazionaria" con la borghesia e i feudali, al di sopra del mercato, rispetto alla classe operaia.
Nelle ultime elezioni, si è forse detto agli artigiani, ai piccoli industriali, ai contadini, ecc.: di fronte a noi voi costituite insieme ai borghesi e ai feudali soltanto una massa reazionaria?
Lassalle sapeva a memoria il Manifesto comunista, come i suoi fedeli le scritture sacre redatte da lui. Se egli dunque lo ha falsificato in modo così grossolano, ciò è stato fatto soltanto allo scopo di mascherare la sua alleanza con gli avversari assolutisti e feudali contro la borghesia.
Nel paragrafo che stiamo esaminando, inoltre, la sua sentenza viene tirata per i capelli, senza alcun nesso con la citazione tronca degli Statuti dell'Internazionale. Si tratta dunque qui semplicemente di un'impertinenza, e tale da non dispiacere al signor Bismarck; una di quelle ragazzate in cui eccelle il nostro grossolano Marat di Berlino.

5. "La classe operaia opera per la propria liberazione anzitutto nel quadro dell'odierno Stato nazionale, consapevole che il necessario risultato dei suoi sforzi, comuni ai lavoratori di tutti i paesi civili, sarà l'affratellamento internazionale dei popoli".
In opposizione al Manifesto comunista e a tutto il socialismo precedente, Lassalle concepiva il movimento operaio dal punto di vista più angustamente nazionale. Ora, l'attuale programma lo segue su questo terreno, e dopo l'azione dell'Internazionale!
S'intende da sé che – se non altro per essere in grado di lottare – la classe operaia si deve organizzare in casa propria come classe, e che il proprio paese è il campo immediato della sua lotta. Per questo la sua lotta di classe è nazionale, come dice il Manifesto, non per il contenuto, ma "per la forma". Ma "il quadro dell'odierno Stato nazionale", per esempio dell'Impero tedesco, si trova, a sua volta, economicamente "nel quadro del mercato mondiale, politicamente" nel quadro del sistema degli Stati [18]. Anche il primo commerciante che capiti sa che il commercio tedesco è al tempo stesso commercio estero, e la grandezza del signor Bismarck consiste appunto in una certa politica internazionale.
E a che cosa il Partito operaio tedesco riduce il suo internazionalismo? Alla coscienza che il risultato dei suoi sforzi "sarà l'affratellamento internazionale dei popoli", frase presa a prestito dalla borghese Lega per la libertà e per la pace che si vorrebbe far passare come equivalente dell'affratellamento internazionale delle classi operaie nella lotta comune contro le classi dominanti e i loro governi. Nemmeno una parola, dunque, delle funzioni internazionali della classe operaia tedesca! E si vorrebbe, in queste condizioni, che essa possa opporsi alla propria borghesia, che già fraternizza contro di essa con la borghesia di tutti gli altri paesi, e sventare la politica di cospirazione internazionale del signor Bismarck.
In realtà, la professione di fede internazionalista del programma è infinitamente al di sotto perfino di quella del partito libero-scambista. Anche questo partito sostiene che il risultato dei suoi sforzi è "l'affratellamento internazionale dei popoli". Ma esso fa almeno qualche cosa per internaziona­lizzare il commercio e non si accontenta affatto della consapevolezza ... che tutti i popoli fanno del commercio a casa loro.
L'azione internazionale delle classi operaie non dipende in alcun modo dall'esistenza della Associazione internazionale dei lavoratori. Questa fu soltanto il primo tentativo per dotare quell'azione di un organo centrale; tentativo che, per l'impulso che dette, ebbe effetti durevoli, ma non poteva sopravvivere a lungo nella sua prima forma storica dopo la caduta della Comune di Parigi.

La Norddeutsche Allgemeine Zeitung aveva completamente ragione quando annunciava, a soddisfazione del suo padrone Bismarck, che il Partito operaio tedesco aveva abiurato, nel nuovo programma, l'internazionalismo.

II

"Sulla base di questi principi, il Partito operaio tedesco agisce con tutti i mezzi legali per raggiungere lo STATO LIBERO e la società socialista; per l'abolizione del sistema del salario con la LEGGE BRONZEA del salario; per l'abolizione dello sfruttamento sotto tutte le sue forme con l'eliminazione di ogni disuguaglianza sociale e politica".

Sullo Stato "libero" ritornerò più tardi [19].
Dunque, per l'avvenire, il Partito operaio tedesco dovrà credere nella "legge bronzea del salario" di Lassalle![20] Perché essa non venga dimenticata, si commette l'assurdo di parlare della "abolizione del sistema del salario" (e si doveva dire: sistema del lavoro salariato) "con la legge bronzea del salario". Se elimino il lavoro salariato, elimino naturalmente anche le sue leggi, siano esse "bronzee" o spugnose. Ma la lotta di Lassalle contro il lavoro salariato gravita quasi esclusivamente attorno a questa cosiddetta legge. Ma per provare, dunque, che la setta lassalliana ha vinto, occorre che il "sistema del salario" venga abolito "con la legge bronzea del salario" e non senza di essa!
Della "legge bronzea del salario", com'è noto, a Lassalle non appartiene che la parola "bronzea", che egli ha preso a prestito dalle "eterne, bronzee, grandi leggi" di Goethe. La parola bronzea è un sigillo con cui i credenti ortodossi si riconoscono tra di loro. Ma se accetto la legge con l'impronta di Lassalle, e perciò nel senso che egli le ha dato, debbo accettarne anche il fondamento. E quale è questo fondamento? Come ha dimostrato Lange subito dopo la morte di Lassalle, è la teoria della popolazione di Malthus (predicata dallo stesso Lange). Ma se questa teoria è esatta, io non posso abolire la legge, se anche abolisco cento volte il sistema del lavoro salariato, perché in questo caso la legge non regge soltanto il sistema del lavoro salariato, ma ogni sistema sociale. Ed è precisamente poggiandosi su questo che gli economisti hanno dimostrato da cinquant'anni e più che il socialismo non può eliminare la miseria che ha il suo fondamento nella natura, ma può solo generalizzarla, distribuirla simultaneamente su tutta la superficie della società!
Ma tutto questo non è la cosa principale.
Prescindendo completamente della errata formulazione della legge da parte di Lassalle, il vero rivoltante rinculo consiste in questo:
Dopo la morte di Lassalle si è fatta strada nel nostro Partito la concezione scientifica che il salario non è ciò che sembra essere, cioè il valore (o prezzo) del lavoro, ma solo una forma mascherata del valore (o prezzo) della forza lavoro. Con ciò tutta la vecchia concezione borghese del salario, come la critica finora diretta contro di essa, è stata una volta per sempre spazzata via e si è messo in chiaro che l'operaio salariato ha il permesso di lavorare per la sua propria esistenza, cioè di vivere, solo in quanto lavora, per un certo tempo, gratuitamente, per il capitalista (e quindi anche per quelli che insieme col capitalista consumano il plusvalore); che tutto il sistema di produzione capitalistico mira a prolungare questo lavoro gratuito con l'estensione della giornata lavorativa o con lo sviluppo della produttività, cioè con una maggiore tensione della forza lavoro, ecc.; che dunque il sistema del lavoro salariato è un sistema di schiavitù, e di una schiavitù che diventa tanto più dura quanto più si sviluppano le forze produttive sociali del lavoro, a prescindere dal fatto che l'operaio sia pagato meglio o peggio. Ora che questa concezione penetra sempre più nel nostro Partito, si ritorna ai dogmi di Lassalle, benché ormai si dovrebbe sapere che Lassalle non sapeva che cosa fosse il salario, ma, seguendo gli economisti borghesi, egli prendeva l'apparenza per la cosa stessa.
È come se tra gli schiavi venuti finalmente a capo del segreto della schiavitù e diventati ribelli, uno schiavo prigioniero di concezioni superate scrivesse nel programma della ribellione: la schiavitù dev'essere abolita, perché il sostentamento degli schiavi nel sistema della schiavitù non può sorpassare un certo livello assai basso.
Il semplice fatto che i rappresentanti del nostro Partito sono stati capaci di commettere un così enorme attentato alle concezioni diffuse nella massa del partito, mostra da solo con quale criminale leggerezza, con quale mancanza di scrupoli essi hanno elaborato questo programma di compromesso!
Invece dell'indeterminata quanto ridondante frase conclusiva del paragrafo "l'eliminazione di ogni disuguaglianza politica e sociale", si doveva dire: che con la soppressione delle differenze di classe, scompaiono da sé tutte le disuguaglianze sociali e politiche che da queste differenze derivano.

III

"Il Partito operaio tedesco, per avviare la soluzione della questione sociale, chiede l'istituzione di cooperative di produzione con l'assistenza dello Stato, sotto il controllo democratico del popolo lavoratore. Le cooperative di produzione devono essere create, nell'industria e nell'agricoltura, in numero sufficiente perché da esse sorga l'organizzazione socialista di tutte le attività".

Dopo la "legge bronzea del salario" di Lassalle, la panacea del profeta. La via viene "spianata" in degna maniera. In luogo della esistente lotta di classe, subentra una frase da gazzettiere: "la questione sociale" di cui è avviata la "soluzione". Invece che da un processo di trasformazione rivoluzionaria della società, l'"organizzazione socialista di tutte le attività" "sorge" dall'"assistenza dello Stato", che lo Stato dà a cooperative di produzione, che esso (e non l'operaio) "crea". Che si possa costruire con l'assistenza dello Stato una nuova società, come si costruisce una nuova ferrovia, è degno della fantasia di Lassalle.
Per un resto di pudore l"'assistenza dello Stato" viene posta sotto il controllo democratico del popolo "lavoratore".
In primo luogo, "il popolo lavoratore" in Germania consta nella sua maggioranza di contadini e non di proletari.
In secondo luogo, "democratico" si dice in tedesco "volksherrs-chaftlich" (secondo ìl potere popolare). Ma allora che cosa vuoi dire "il controllo secondo il potere popolare del popolo lavoratore"? E poi proprio per un popolo di lavoratori, il quale, ponendo allo Stato queste rivendicazio­ni, proclama in tutta coscienza di non essere al potere, e di non essere maturo per il potere!
È superfluo qui scendere ai particolari nella critica della ricetta prescritta da Buchez sotto Luigi Filippo, in opposizione ai socialisti francesi e accettata dagli operai reazionari dell'Atelier. La cosa più scandalosa inoltre non consiste nell'avere fatto entrare nel programma questa specifica panacea, ma nell'essere rinculati dalla posizione e dall'azione di classe a quelle di una setta.
Il fatto che gli operai vogliono instaurare le condizioni della produzione collettiva su scala sociale e, per cominciare, nel loro paese, su scala nazionale, significa soltanto una cosa: gli operai lavorano al rovesciamento delle presenti condizioni di produzione [21]. Ciò non ha niente a che vedere con la fondazione di società cooperative attuali, le quali hanno valore soltanto in guanto sono creazioni operaie indipendenti non protette né dal governo né dai borghesi.
Vengo ora alla parte democratica.

IV

A. "Base libera dello Stato".

In primo luogo, secondo l'articolo II, il Partito operaio tedesco mira allo "Stato libero".
Cosa vuoi dire: Stato libero!
Non è affatto scopo dei lavoratori, che si sono sbarazzati della gretta mentalità di sudditanza, rendere libero lo Stato. Nell'impero tedesco lo "Stato" è "libero" quasi come in Russia: la libertà consiste nel trasformare lo stato da organo sovrapposto alla società in organo completamente subordina­to ad essa, e anche oggigiorno le forme dello Stato sono più o meno libere nella misura in cui limitano la "libertà dello Stato".[22]
Il Partito operaio tedesco – almeno se fa proprio questo programma – mostra come le idee socialiste non l'abbiano neppure sfiorato; anziché considerare la società presente (e ciò vale anche per ogni società futura) come base dello Stato attuale (o futuro per la futura società), considera piuttosto lo Stato come un'entità indipendente, che possiede le sue proprie basi spirituali e morali, le sue proprie libertà.[23]
E ora veniamo allo sciagurato abuso che il programma fa delle parole "Stato odierno", "società odierna" e alla confusione ancora più sciagurata che esso crea circa lo Stato a cui dirige le sue rivendicazioni!
La "società odierna" è la società capitalistica, che esiste in tutti i paesi civili, più o meno libera di vestigia medioevali, più o meno modificata dal particolare sviluppo storico di ogni paese, più o meno evoluta. Lo "Stato odierno", invece, muta con il confine di ogni paese. Nell'impero tedesco-prussiano esso è diverso che in Svizzera; in Inghilterra è diverso che negli Stati Uniti. "Lo Stato odierno" è dunque una finzione.
Tuttavia i diversi Stati dei diversi paesi civili, malgrado la molteplicità delle loro forme, hanno tutti in comune il fatto che stanno sul terreno della moderna società borghese, con un capitalismo più o meno sviluppato. Essi hanno perciò in comune anche alcuni caratteri essenziali. In questo senso si può parlare di uno "Stato odierno", in contrapposto al futuro, in cui la presente radice dello Stato, la società borghese, sarà perita.
Si domanda quindi: quale trasformazione subirà la forma-Stato nella società comunista? In altri termini: quali funzioni sociali persisteranno ivi ancora, che siano analoghe alle odierne funzioni statali? A questa questione si può rispondere solo scientificamente, e componendo migliaia di volte la parola popolo con la parola Stato non ci si avvicina alla soluzione del problema neppure di una spanna.
Tra la società capitalistica e la società comunista vi è il periodo della trasformazione, rivoluzionaria dell'una nell'altra. A questo periodo corrispon­de evidentemente una fase di transizione politica in cui lo Stato non può essere altro che la dittatura rivoluzionaria del proletariato.[24]
Ma il programma non si riferisce né a quest'ultima né alla futura forma-Stato della società comunista.
Le sue rivendicazioni politiche non contengono nulla oltre all'antica litania democratica nota in tutto il mondo: suffragio universale, legislazione diretta, giustizia popolare, milizia del popolo, ecc. Esse sono una mera eco del partito popolare borghese, della Lega per la pace e la libertà. Sono tutte rivendicazioni che, nella misura in cui non sono esagerate in una rappresenta­zione fantastica, sono già state realizzate. Ma lo Stato che possiede già queste istituzioni non si trova entro i confini dell'Impero tedesco, ma nella Svizzera, negli Stati Uniti, ecc. Questa specie di "Stato futuro" è uno Stato esistente, benché esistente fuori "del quadro" dell'Impero tedesco.
Si è però dimenticata una cosa. Poiché il Partito operaio tedesco dichiara espressamente di agire entro l'"odierno Stato nazionale" e quindi entro il proprio Stato, l'impero prussiano-tedesco – altrimenti le sue rivendicazioni sarebbero in massima parte prive di senso, perché si rivendica solo ciò che non si ha – esso non dovrebbe dimenticare la cosa principale, e cioè che tutte, quelle belle cosette implicano il riconoscimento della cosiddetta sovranità del popolo, e perciò sono a posto solo in una repubblica democratica.
Poiché non si ha il coraggio – e saggiamente, giacché le circostanze impongono prudenza – di esigere la repubblica democratica, come fecero gli operai francesi nei loro programmi sotto Luigi Filippo e sotto Luigi Napoleone, non si sarebbe dovuto ricorrere alla finta, che non è né "onesta" né "dignitosa", di richiedere cose, che hanno senso solo in una repubblica democratica, a uno Stato che non è altro se non un dispotismo militare burocraticamente strutturato, posto sotto la protezione della polizia, guarnito di ornamenti parlamentari con aspetti feudali, e già influenzato dalla borghesia; e per giunta si osa assicurare a questo Stato che gli si vogliono imporre cose del genere con "mezzi legali"!
La stessa democrazia volgare, che vede nella repubblica democratica il millennio e non si immagina nemmeno che proprio in questa ultima forma di Stato della società borghese si deciderà la suprema battaglia tra le classi, questa democrazia sta ancora infinitamente al di sopra di questa specie di democratismo, confinato entro i limiti di ciò che è permesso dalla polizia e proibito dalla logica.
Per "Stato" si intende, in realtà, la macchina del governo, ossia lo Stato in quanto costituisce, in seguito alla divisione del lavoro, un organismo a sé, separato dalla società: ciò risulta già dalle parole: "Il Partito operaio tedesco rivendica come base economica dello Stato un'imposta progressiva unica sul reddito, ecc". Le imposte sono la base economica della macchina governativa e niente altro. Nello Stato dell'avvenire, quale esiste in Svizzera, questa rivendicazione è quasi soddisfatta. Una imposta sul reddito presuppone le diverse fonti di reddito delle diverse classi sociali, quindi la società capitalistica [25].   Non  vi  è quindi nulla di sorprendente se i fautori della riforma finanziaria di Liverpool – borghesi col fratello di Gladstone alla testa – avanzino la stessa rivendicazione del Programma.

B. "Il Partito operaio tedesco rivendica come base spirituale e morale dello Stato:
1. "Educazione popolare elementare ed uguale per tutti assicurata dallo Stato, istruzione obbligatoria generale, insegnamento gratuito".

Educazione elementare uguale per tutti"? Che cosa si intende con queste parole? Si crede forse che nella società odierna (e solo di essa si tratta) l'educazione possa essere uguale per tutte le classi? Oppure si vuole che anche le classi superiori debbano essere coattivamente ridotte a quel minimo di insegnamento – la scuola elementare dei lavoratori salariati, ma anche dei contadini?
"Istruzione obbligatoria generale. Insegnamento gratuito". La prima esiste anche in Germania, il secondo nella Svizzera e negli Stati Uniti per le scuole elementari. Se in alcuni Stati dell'America del Nord certi istituti di istruzione superiore sono "gratuiti", ciò significa soltanto che in realtà le spese per l'educazione delle classi superiori sono pagate coi mezzi forniti dalla riscossione delle imposte. Lo stesso vale, sia detto di passaggio, per l'"assistenza giuridica gratuita" richiesta al paragrafo A.5. La giustizia penale è dappertutto gratuita. La giustizia civile concerne quasi esclusivamente i conflitti di proprietà: tocca quindi quasi esclusivamente le classi possidenti. Debbono esse sostenere le loro cause a spese del tesoro pubblico?
Il paragrafo relativo alle scuole avrebbe dovuto per lo meno esigere la combinazione delle scuole tecniche (teoriche e pratiche) con le scuole elementari. È assolutamente da respingere una "educazione popolare da parte dello Stato". Fissare con una legge generale i mezzi delle scuole elementari, la qualifica del personale insegnante, i rami d'insegnamento, ecc., e, come accade negli Stati Uniti, far sorvegliare da ispettori di Stato l'esecuzione di queste prescrizioni legali, è qualcosa di affatto diverso dal fare dello Stato l'educatore del popolo! Di più: si deve escludere allo stesso titolo sia il governo che la Chiesa da ogni influenza nella scuola. Nell'Impero prussiano-tedesco soprattutto (e non si ricorra alla vana scappatoia di dire che si parla di uno "Stato futuro": abbiamo visto come stanno le cose a questo proposito) è lo Stato, al contrario, che ha bisogno di un'assai rude educazione amministrata dal popolo. [26]
Ma l'intero programma, nonostante tutta la fanfara democratica, è infettato da cima a fondo dalla servile credenza nello Stato, propria della setta lassalliana, e, cosa che non è certo migliore, dalla credenza miracolosa nella democrazia: più esattamente è un compromesso tra queste due specie di fede nei miracoli, entrambe ugualmente lontane dal socialismo.
"Libertà della scienza", dice un paragrafo della Costituzione prussiana. Perché dunque parlarne qui?
"Libertà di coscienza"! Si è voluto in questo periodo di Kulturkampf rammentare al liberalismo le sue vecchie parole d'ordine? Ciò si poteva fare solo in questa forma: Ciascuno deve poter soddisfare tanto i suoi bisogni religiosi quanto i suoi bisogni corporei senza che la polizia vi ficchi il naso. Ma il Partito   operaio   doveva   pure   in   questa occasione esprimere la sua convinzione che la "libertà di coscienza" borghese non  è  altro che  la tolleranza di ogni specie possibile di libertà di coscienza religiosa, e che il Partito operaio si sforza, invece, di liberare le coscienze dallo spettro della religione [27]. Ma si preferisce non andare oltre il livello "borghese".
Sono giunto alla fine, perché l'appendice del programma non ne istituisce una parte caratteristica. Perciò mi esprimerò qui assai brevemente. 

2.  "Giornata lavorativa normale"

In nessun altro paese il Partito operaio si è limitato ad una rivendicazione così vaga; ma ha sempre precisato la durata della giornata lavorativa, che considera normale nelle circostanze date.

3. ''Limitazione del lavoro delle donne e divieto del lavoro dei fanciulli"

La regolamentazione della giornata lavorativa deve già includere la limitazione del lavoro delle donne per ciò che si riferisce a durata, pause, ecc. della giornata di lavoro; altrimenti può solo significare esclusione delle donne da rami d'industria che sono specialmente nocivi per la loro salute e incompatibili col sesso femminile per ragioni morali. Se si intendeva questo bisognava dirlo.
''Divieto del lavoro dei fanciulli"!. Qui era assolutamente necessario indicare i limiti d'età.
Un divieto generale del lavoro dei fanciulli è incompatibile con l'esistenza della grande industria, ed è perciò un vano, pio desiderio.
La sua attuazione – quando fosse possibile – sarebbe reazionaria, perché grazie ad una rigida regolamentazione della durata del lavoro secondo età e ad altre misure per la protezione dei fanciulli, la combinazione precoce tra il lavoro produttivo e l'istruzione è uno dei più potenti mezzi di trasformazione della odierna società.

4. "Sorveglianza da parte dello  Stato  del lavoro nelle  fabbriche, nei laboratori e nell'industria domestica"

Trattandosi dello Stato prussiano-tedesco, si doveva chiedere assolutamente che gli ispettori siano revocabili solo con una sentenza dei tribunali; che ogni operaio possa denunziarli per violazione del loro dovere; che debbano appartenere alla categoria dei medici.

5. "Regolamentazione del lavoro carcerario"

Rivendicazione meschina in un programma generale operaio. In ogni caso bisognava dire chiaramente che non si vuole che i delinquenti comuni, per paura della loro concorrenza, siano trattati come bestie e che li si privi dell'unico mezzo di correggersi: il lavoro produttivo. Eppure questo era il meno che ci si potesse attendere da socialisti.

6. "Una efficace legge sulla responsabilità"

Si doveva dire che cosa s'intende per "efficace" parlando di questa legge sulla responsabilità in materia di legislazione del lavoro.
Osserviamo di passaggio come, trattando della giornata normale di lavoro, si è trascurata quella parte della legislazione di fabbrica che riguarda i regolamenti sull'igiene e le misure di prevenzione contro i rischi, ecc. La legge sulla responsabilità entra in azione soltanto quando vengono violate queste prescrizioni.
In breve, anche quest'appendice si distingue per la sua redazione trasandata.

Dixi et salvavi animam meam.

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FINE DEL VOLUME

"Le forme di produzione successive nella teoria marxista", edizioni 19/75, Torino, aprile 1980, pgg.329.

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[1] . Cf. Marx, Note in margine al Programma del Partito operaio tedesco, 1875.
In questo testo, Marx oppone alle tesi errate dei partigiani di Lassalle la visione comunista del socialismo scientifico. Il suo carattere polemico, che complica un po' l'esposizione del trapasso allo stadio superiore del comunismo, non impedirà al lettore di seguire il filo dei ragionamento. Questo modo di procedere – negando per definire – permette di distinguere la concezione di Marx da tutte le falsificazioni o banalizzazioni in voga da oltre un secolo sempre più fetentemente.

[2]  . Quello che si vuol designare col borghese termine di ricchezza è un complesso di oggetti d'uso, di cose utili al consumo e alla vita dell'uomo, nel più largo senso. Ed allora ne produce la natura anche senza intervento del lavoro umano; questo come quella saranno nel comunismo una forza naturale. Non attribuiamo la fonte dei beni di cui oggi godiamo né alla grazia di dio né alla potenza creatrice dei genii! Non lasciamo davvero credere che se i fautori del capitalismo sono i feticisti del capitale, noi ci riduciamo ad essere puramente i sacerdoti del feticcio-lavoro.
L'essenziale, Marx dice sempre, è il porre il rapporto sociale quale si presenta nell'attuale società capitalistica. E allora, piantandola finalmente colle verità universali, rimangiate il versetto coglione: Il lavoro è fonte di ogni ricchezza e civiltà, ed imparate a mente le tesi inoppugnabili: Prima: "Nella misura che il lavoro si sviluppa socialmente e diviene così fonte di ricchezza e civiltà, si sviluppano povertà e desolazione dal lato dei lavoratori; ricchezza e civiltà dal lato di chi non lavora".
Preso fiato, imparate la seconda: "Nella moderna società capitalistica sono finalmente date le condizioni materiali che abilitano ed obbligano i lavoratori a spezzare quella maledizione sociale".

[3] . Il socialismo non solo abolirà la libertà di poter disporre del frutto del proprio lavoro, ma dovrà farlo in quanto, se tale libertà esistesse, la specie umana, col numero attualmente raggiunto, con l'attuale livello delle sue esigenze anche strettamente fisiche, non potrebbe più sopravvivere.
Qui vi è tutta la profondità del divario tra la concezione di Marx e quelle banali di Proudhon, di Lassalle, di tanti e tanti altri che chiamano socialismo la conquista da parte del lavoratore del frutto del proprio lavoro, allorché, ci si passi la formulazione paradossale, il socialismo consiste nella perdita di esso.

[4] . La dottrina marxista non si iscrive nel "diritto", perché la teoria del diritto si inscrive in essa, ne è un semplice capitolo. Se tuttavia si potesse dare una formula giuridica dell'economia socialista, essa suonerebbe così: La società è immediatamente proprietaria di ogni provento del lavoro erogato da ciascun suo componente, che su esso non esercita diritto alcuno.
Ma, restando pure nei termini della scienza del giure corrente, noi affermiamo la verità di questa equazione: godimento gratuito e perpetuo uguale a proprietà piena.

[5] . Alle splendide citazioni del Manifesto sul "lavoro vivente" contrapposte a "lavoro morto", aggiungiamo la formula di "lavoro da nascere". Il capitalismo è la forma in cui pochi dispositori di lavoro morto (capitale costante) dispongono, per forza della legge e del potere politico, del lavoro vivo (capitale variabile), e quindi ne fissano ad arbitrio le condizioni di impiego, prelevandone quanto e come credono ai fini di investimento per "conservare ed accrescere il lavoro morto" e di "assicurarsi il lavoro nascituro". Ora è certo che a queste due finalità dovrà provvedere anche il modo di produzione socialistico.
In primo luogo: si deve detrarre quel che vale a sostituire il consumato mezzo di produzione. Debito pagato al "lavoro morto". Gli impianti, le attrezzature innumeri derivate dagli sforzi e dalle trovate inventive "di tutti i morti" e che sono un regalo, in quanto ci fanno risparmiare tanto lavoro a parità di prodotto e consumo, si logorano e vanno conservati, rinnovati: anche gli economisti classici sono in questo lugubri come noi, definendo la faccenda: spese di ammortamento.
In secondo luogo: la parte che si deve aggiungere per l'estensione della produzione, Questo è un debito verso il "lavoro di domani". Non solo il numero degli uomini, e quindi dei lavoratori, aumenta continuamente, ma nuove risorse formano bisogni nuovi. In tempo e lingua capitalistica, questo si chiama dedicare parte dei redditi a maggior investimenti di capitale, alla compera di nuovi beni strumentali. La misura da parte della società si prenderà lo stesso in tempo socialista, e sempre a carico del lavoro attuale.
In terzo luogo:  Fondo di riserva o di assicurazione contro infortuni, danni per eventi naturali, ecc.  Questo è debito del  lavoro vivo verso  il "lavoro vivo" e l'economista corrente lo chiama premio contro rischi.
Dopo  di  ciò  Marx  ricorda le spese "pubbliche"  di oggi:  amministrazione generale, assistenza agli inabili al lavoro: insomma tutto quanto si fa oggi con le imposte e tasse, e altri oneri e ritenute.
Detratto tutto questo, rimane quanto il lavoratore dedicherà ai suoi consumi, personali prelevandoli dal fondo sociale (e qui il famoso passo sui due stadi del socialismo) prima in misura del tempo di lavoro dato, poi a suo piacere. Ma fermiamoci.

[6] . Questa parte diminuirà proprozionalmente alla eliminazione dello sciupio per la più gran parte dovuto alle attività e alle spese delle sovrastrutture dello Stato, ecc, che assorbono almeno la metà delle forze produttive delle odierne società sviluppate. In altri termini: lo Stato si estinguerà progressivamente.

[7] . Questa parte crescente è destinata alla collettivizzazione – e non come oggi alla privatizzazione – dei bisogni umani in vista del pieno sviluppo dell'individuo.

[8] . Con la socializzazione della riserva collettiva la società socialista elimina l'angosciarne problema delle società dì classe privatistiche, in cui ogni individuo deve provvedere con i suoi soli mezzi alle difficoltà e agli infortuni che possono colpirlo, mentre le banche succhiano i benefici di queste riserve in denaro. La società comunista, al contrario, si organizza per fare sì che la riserva sociale sia una garanzia individuale per tutti, ma senza l'enorme sperpero dell'attuale società, che specula sulla vita e sulla morte degli individui. Così, chi per personale convenienza e possibilità compra, ad esempio, un'automobile a credito, la paga il doppio, a tutto profitto delle banche, che, per questo solo fatto e senza far niente di utile, intascano praticamente quanto l'intera produzione automobilistica.
Per evitare tali abusi non c'è che- un mezzo: la riserva sociale non appartiene a nessuno, né tanto meno sarà divisa come nel precapitalismo in tante piccole quote per quanti sono gli individui: essa distribuisce secondo i bisogni fisici in funzione del valore d'uso. L'accumulazione capitalistica, per contro, lungi dall'essere una riserva, una garanzia per gli individui, è retta dalla legge della miseria crescente, che stabilisce come col concentrarsi del capitale in grandi ammassi cresce il numero dei proletari e dei "senza riserve". Questa è la prima delle due vere e principali leggi stabilite da Marx nel Capitale. Nel II e III volume del Capitale è svolta la seconda, la legge della riproduzione del capitale, connessa a quella della diminuzione del tasso di profitto. Secondo questa una parte del prodotto e quindi del lavoro deve essere dal capitalista accantonata per riprodurre i beni capitali degli economisti, ossia le macchine logorate, le fabbriche, ecc. Le leggi di Marx sul modo come si ripartisce il prodotto umano tra consumi immediati e investimenti strumentali, tendono a provare che fino a che resterà in piedi lo scambio mercantile e il sistema salariale, il capitalismo andrà incontro a crisi e rivoluzioni. Un prelievo sociale sul lavoro individuale ci sarà anche in regime comunista, per provvedere alla conservazione degli impianti, ai servizi generali, e così via. Non avrà carattere di sfruttamento proprio in quanto non sarà fatto per la via mercantile, e proprio per questo l'accantonamento sociale determinerà un equilibrio stabile e non una serie di sconvolgimenti come in regime capitalista nel rapporto tra prodotti da consumare e prodotti da destinare a "strumenti" per la produzione ulteriore.

[9] . Se nel socialismo vi sarà un'accumulazione, essa si presenterà come accumulazione di oggetti materiali utili ai bisogni umani, che non avranno bisogno di apparire alternativamente come moneta, e nemmeno di subire l'applicazione di un "monetometro" che consenta di misurarli e paragonarli secondo un "equivalente generale". Quindi tali oggetti non saranno più nemmeno merci e non saranno definiti dal loro valore (di scambio) ma solo dalla loro misura quantitativa fisica e dalla loro natura qualitativa, ciò che si esprime dagli economisti, e anche da Marx a fini espositivi, come valore d'uso. Si può stabilire fondatamente che i ritmi di "accumulazione" nel socialismo, misurati in quantità materiali come le tonnellate di acciaio o i kilowatt di energia, ecc, saranno di aumento lento e di poco superiore a quello dell'aumento di popolazione: rispetto alle società capitaliste mature, probabilmente la pianificazione razionale dei consumi in qualità e quantità e l'abolizione dell'enorme massa dei consumi antisociali (dalla sigaretta alla portaerei), determinerà un lungo periodo di discesa degli indici produttivi, e quindi, nei termini analoghi agli antichi, di disinvestimento e di disaccumulazione. Cf. Struttura ..., cap. Accumulazione e denaro.

[10] . Questo scontrino è la SOLA equivalenza che resta ancora in gioco e riguarda il proletariato, il lavoratore. Quanto dura lo scontrino? La sua grande caratteristica è questa: esso non è, come la moneta, equivalente generale; è solo consumabile, non è accumulabile, e nemmeno tesaurizzabile. Dura quanto il pane ad ammuffire e il burro e irrancidire; poniamo, per restare a questo schema simbolico, che gli si dia la validità di una settimana. Ciò obbligherà a fare affidamento nell'approvvigionamento pubblico anziché nelle riserve private, con passo gigantesco verso il comunismo che è sistema sociale – e non privato – di garanzie. Cf. Struttura ..., cap. Lo scontrino di Marx.

[11] . Perché Marx utilizza ancora il termine di proprietà per designare la disposizione sui mezzi di consumo personali? 11 Manifesto infatti dice: "Quello che l'operaio salariato si appropria con la sua attività gli basta soltanto per riprodurre la sua nuda esistenza. Noi non vogliamo affatto abolire questa appropriazione personale dei prodotti del lavoro necessari per la riproduzione della vita immediata, appropriazione la quale non lascia alcun utile netto che possa dare un potere sul lavoro altrui". Da questo passo è uscita la parafrasi che il socialismo fa salva ia proprietà individuale del consumo, di cui non vieta la "appropriazione" nel breve ciclo tra erogazione della forza di lavoro e consumo del cibo che la ripristina. Ma ogni accantonamento, ogni "risparmio", esula da questa appropriazione fatta salva, ed è concessione alla posizione opposta, l'accumulo dì rendite che diano modo di dominare il lavoro altrui. Scientificamente parlando è il caso di riservare il vocabolo proprietà ed appropriazione a questo secondo rapporto, di messa in riserva di risorse da usare "per dominare it lavoro altrui", rapporto che è finito nella società socialista, e parlare di "disposizione" da parte del lavoratore di quanto gli compete per provvedere al suo consumo "immediato" nel senso che non va a riserva, ma può coprire in ciclo brevissimo la gamma dei bisogni (cf. ibid., cap. La proprietà personale).

[12] . Ciò in quanto si è soppresso il denaro, questo intermediario che fissa il prezzo unitario medio di mercato, prezzo che fluttua al di sopra del costo reale di produzione e permette dunque sovraprofitti, rendite, ecc, mediante speculazioni, truffe e imbrogli. È quindi il valore d'uso immediato – e non l'intermediario valore di scambio – che fissa l'ammontare del buono di lavoro, il quale, anche in questo senso, non è più denaro ma un primo passo verso la sua abolizione nell'ultimo settore in cui sussiste ancora il diritto borghese dell'equivalenza, di cui Marx farà la critica per il passaggio dal socialismo inferiore al pieno comunismo.

[13] . In questo senso, il primo stadio livella gli individui sopprimendo le differenze di classe con l'obbligo per tutti di lavorare nella produzione e di vivere del proprio lavoro e non più di quello altrui. Nel periodo inferiore del socialismo saranno ancora in vigore dei diritti, naturalmente passeggeri, copie del diritto borghese, come puri espedienti di gestione sociale. Ma saranno diritti di classe, legati alla presenza nello Stato di una sola classe, ossia di quella dei proletari senza riserva di lembi di proprietà e di capitale, e quindi escludendo i piccoli possessori e produttori, anche se possono cadere sotto le espressioni generiche di lavoratori e sfruttati, in quanto nella società capitalistica ogni piccolo gestore economico è sfruttato dagli strati sovrastanti, ed anche il piccolo dal grande capitalista.
[14] . È buon marxismo il non lasciar mettere la parte mentale e il gioco del cervello prima del rapporto di lavoro nella sua base materiale; e quella vecchia invettiva alla Ragione-Opinione si collega, sia pure in forma di intuizione primitiva, col concetto rivoluzionario che va chiesta al militante comunista la forza del muscolo che colpisce prima dell'orientamento di pensiero e della "coscienza", come il grande marxista Lenin dimostrò magistralmente in "Che fare?".

[15] . Nel comunismo, non mercantile, sarà alla società possibile fare "un meraviglioso affare" dicendo, ogni mattina che il pianeta si sarà pigramente tutto rigirato su se stesso: annunzi chi vuole che oggi non aggiungerà nulla al prodotto sociale. Lo accetto, come accetto l'opera di chi vorrà apportare decuplo impegno: entrambi siederanno allo stesso titolo alla mensa comune. Solo allora avremo finito di sentire da ambo i lati le nauseanti chitarrate all'idolo falsato di Libertà.

[16] . La formula della "massa reazionaria" è tuttavia esatta per i paesi sviluppati – e per essi soli – e ciò si verifica in modo clamoroso al momento della rivoluzione, come spiega Engels, nella sua lettera a Kautsky del 14.10.1891.

[17] . Il Manifesto levò un inno alle gesta della borghesia mondiale, che aveva cancellato, nelle masse immense dei salariati, lanciate in turbine per un mondo fragoroso di sonanti officine e di macchinari frementi, gli istinti millenari che vi avevano impresso i residui tradizionali di limitatezza personale, religiosa, familiare, domestica, mercantile, propri di vinte economie polverizzate e pidocchiose.
Solo la classe proletaria, già presente in questa società capitalistica, ha interesse all'abolizione della società divisa in classi, e solo essa (come il marxismo ha scoperto) può aspirare alla lotta per tale finalità e possederne conoscenza e visione.

[18] . I due fenomeni storici, successivi nel tempo, della lotta della nazione per la propria indipendenza e della lotta della classe operaia per il socialismo, se anche si riconosce nel primo la causa (o una delle cause) del secondo, hanno ideologia e tendenze antagoniste. Allorché la lotta sociale contrappone le classi, l'idea nazionale si dimostra infatti una formidabile arma di difesa della classe dominante contro le forze rivoluzionarie.
Antiche e nuove deformazioni polemiche hanno confuso la posizione programmatica internazionalista del proletariato comunista con la natura formalmente nazionale di alcune prime tappe della sua lotta. Il proletariato ingaggia la lotta per il potere in una forma nazionale in quanto tende ad abbattere lo Stato della propria borghesia. Anche un certo tempo dopo la conquista del potere proletario, questo può restare limitato ad ambito nazionale. Ma ciò non toglie la contrapposizione storica essenziale tra la borghesia che mira a costituire nazioni borghesi, presentandole come nazioni "in generale" (ciò che vale anche per la solidarietà nazionale), mentre scopo del proletariato è una società internazionale.

[19] . Da notare che Marx non parla mai dell'appropriazione dei mezzi di produzione, ecc. da parte dello Stato. Il socialismo non trasferisce allo Stato il sangue e le fatiche degli operai che la borghesia ha accumulato. Esso si appropria (nazionalizza) solo il quadro non proletario della società rurale (nazionalizzazione della terra), e questo contro il bestiale populismo e municipalismo individualista. Altrimenti come potrebbe questo stato estinguersi?

[20] . Nel I Libro del Capitale, Marx si difende formalmente da ogni e qualsiasi responsabilità per le elucubrazioni Lassalliane sulla legge bronzea del salario: egli analizza e descrive il salario dell'operaio come una funzione con diverse variabili, e quindi molto elastica, tutt'altro che bronzea.

[21] . Il socialismo nella produzione dei manufatti significherà allora la sparizione dei imiti tra le imprese a profitto e l'organizzazione in un meccanismo unico di tutta la produzione attiva del mondo conosciuto, una collaborazione che dopo essere andata dall'individuo alle masse di fabbrica, va da queste masse alla società intera.

[22] . L'ideologia borghese rivoluzionaria, prima della lotta e della vittoria finale, presentò il suo futuro Stato post-feudale non come uno Stato di classe, ma come lo STATO POPOLARE, fondato sulla soppressione di ogni disuguaglianza di fronte alla legge, che a suo dire doveva bastare ad assicurare la libertà e l'uguaglianza di tutti i membri della società.
Il marxismo è contro lo Stato in generale e contro lo Stato borghese in particolare. La società che è nel suo programma storico, essendo senza classi, è senza Stato. Ma il marxismo prevede che lo Stato sarà uno strumento rivoluzionario transitorio per appunto distruggere la classe dominante presente, dopo che la rivoluzione ne avrà distrutto lo Stato attuale.
Il marxismo conduce la lotta contro lo Stato borghese che solo dalla violenza sarà travolto. Ma in precedenti stadi storici il marxismo prevede l'utilizzazione di questo stesso Stato allorché distrugge lo Stato feudale, e in dati settori allorché colpisce i privati detentori del capitale con le sue disintossicate nazionalizzazioni. Prevede l'entrata in dati periodi (all'inizio progressivo del capitalismo) negli organi dello Stato borghese prima a fine "stimolante", poi a fine "sabotante", e ad un certo tempo deve prevedere che si abbandoni questo terreno per quello dell'insurrezione e della presa di tutto il potere. La posizione nei confronti dello Stato non è anarchica né riformista.

[23]  . Lo Stato sussiste solo con le classi e ciò per due ragioni essenziali: 1. esso è uno strumento politico di coercizione, utile e indispensabile nella fase di transizione per reprimere i ritorni conservatori delle forze capitaliste interne e internazionali, come le forze nemiche costituite dalla tradizione ancorata in ogni ceto sociale, sia lo stesso proletariato; 2. lo Stato s'intromette nell'economia fintantoché vi sono antagonismi di classe e una sola classe rappresenta tutta la società (contro le altre classi). Ma lo Stato resta nondimeno una sovrastruttura: si limita a registrare, proibire o permettere, mentre ciascuna azienda conserva piena e totale autonomia contabile, e quando la bilancia è in passivo, contrariamente allo Stato che secerne allora l'inflazione o svaluta la moneta, va in fallimento. Esso non è dunque un operatore economico, un fattore della produzione, perché sarebbe in quanto tale indispensabile ovunque e sempre. Un esempio servirà ad illustrarlo: lo Stato di per sé non ha nulla da investire, ma non fa altro che operare trasferimenti. All'inizio del capitalismo e alla fine niente tuttavia s'investe senza che lo Stato lo registri. Niente di nuovo dunque: Colbert anticipa il capitalismo di Stato, perché non esiste miglior collettore di fondi della sovrastruttura di forza, lo Stato. Il culto dello Stato è sempre democratico-totalitario, perché è una forza che rappresenta la società (e maschera la dominazione di una sola classe): il piccolo-borghese ne è affascinato, poiché non vede altro che il proprio individuo e lo Stato, laddove il marxista vede solo uno strumento di forza transitorio.

[24] . Lo Stato proletario non è affatto annunciato, durante la lotta contro il regime attuale, come la realizzazione stabile e fissa di un insieme di regole dei rapporti sociali dedotte da una ricerca ideale sulla natura dell'uomo e della società. Nel corso della sua vita, lo Stato operaio evolverà incessantemente fino a disperdersi, man mano che in un lungo processo l'organizzazione sociale si trasformerà, da un sistema sociale di costrizione degli uomini (com'è stato sempre dopo la preistoria) in una te te unitaria, scientificamente costruita, di esercizio delle cose e delle forze naturali. Insomma, la natura dell'organizzazione sociale, dell'associazione umana, cambierà in modo radicale secondo le modificazioni della tecnica e delle forze di produzione e la natura dell'uomo si modificherà altrettanto profondamente allontanandosi sempre più da quelle del bue da lavoro e dello schiavo. Una costituzione codificata e permanente da proclamare dopo la rivoluzione operaia è un assurdo, non può figurare nel programma comunista; tecnicamente converrà adottare regole scritte che non avranno però nulla di intangibile e manterranno un carattere "strumentale" e transitorio, facendo a meno delle facezie sull'etica sociale ed il diritto naturale.

[25] . Nell'economia socialista non può essere questione di imposte pagate in moneta: essendo in un dato momento l'amministrazione sociale dispositrice di ogni prodotto, nel ripartirlo trattiene la parte che risponde ai servizi generali e lascia il resto ai consumi individuali quotidiani; questo è lo schema marxista.
Ma anche un'economia totalmente statizzata, pur restando monetaria, potrebbe funzionare senza imposte. Dato che il centro statale conduce nel suo bilancio e nella sua cassa ogni "profitto" delle aziende statizzate, e se queste fossero praticamente tutte anche nell'agricoltura (ipotesi di Ricardo), da questo movimento lo Stato può ricavare le spese per i servizi generali pubblici.
Se l'imposta in moneta vive e si amplia, ciò vuol dire che anche la statizzazione totale (che è per Marx una "fase non stabile" da tempo rivoluzionaria) non solo non è raggiunta ma si va allentando.
Tutte le notizie sulla Russia del 1953 sono in questo senso, anche le ultime. Non abbiamo solo in Russia capitalismo di Stato ma capitalismo di Stato misto al privato, in una miscela che si svolge diminuendo la dose del primo: non solo non è il risultato di un processo di rivoluzione socialista, ma non migliora nemmeno le condizioni di questa rivoluzione (Cf. Struttura..., cap. 105-111 sull'analisi del carattere di classe del sistema delle imposte che va sempre più a vantaggio della popolazione agricola e a danno della popolazione industriale).
Per tassare il proletariato, lo Stato considera il salario come un reddito monetario e non più come remunerazione della forza lavoro, come "iniezione di alimento" destinata a conservare al proletariato il suo carattere di serbatoio di forza lavoro, nella generazione viva e nella sua fisiologica riproduzione. Così, pur intascando solo ciò di cui ha bisogno per il consumo, l'operaio paga delle imposte indirette sul consumo e delle imposte dirette sul "reddito", di modo che è colpito anche come "produttore" di quello che non produce, ossia il reddito. E ciò in tutto il sistema due o tre volte sommando gli effetti di tutte le imposte.
Come tutta la ricchezza sociale prodotta deriva dal lavoro dell'operaio, analogamente avviene per le imposte che incassa lo Stato, ecc. Imprenditori, artigiani, commercianti, ecc. pagano con denaro altrui. Quando ad es. un operaio fa riparare un vetro, le tasse dell'artigiano sono dedotte dal suo salario.

[26] . I comunisti non hanno costituzioni codificate da proporre. Hanno un mondo di menzogne e di costituzioni cristallizzate nel diritto e nella forza dominante da abbattere. Sanno che, mediante un apparato rivoluzionario e totalitario di forza e di potere, senza esclusione di mezzi, si lotterà per impedire che i relitti infami di un'epoca di barbarie ritornino a galla, che il mostro dei privilegio sociale risollevi la testa, affamato di vendetta e di servitù, lanciando per la millesima volta il mentitore grido di libertà.

[27] . Questo modo di salvare il sentimento religioso è un grave errore, perché lascia nello spirito dell'operaio  il  substrato a cui il prete potrà fare appello per ricondurlo all'ovile, mentre invece è evidente che noi dobbiamo distruggere il sentimento religioso che non è altro che un mezzo di cui si serve la classe dominante per giustificare il suo dominio sugli umili con l'intervento di una volontà sovra-naturale. Checché si dica sul comunismo di Cristo, è per noi certo che ogni credenza nel mondo dell'al di là è uno strumento poderoso per addormentare la lotta di classe che mira a risolvere problemi di questo mondo. Se l'ateismo borghese diviene sempre più conservatore, l'ateismo proletario è sempre rivoluzionario.

FINE DEL VOLUME

"Le forme di produzione successive nella teoria marxista", edizioni 19/75, Torino, aprile 1980, pgg.329.

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